
Chiesa di San Pietro Apostolo
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INDICE
La chiesa con due nomi e due campanili
La chiesa di San Pietro Apostolo, o anche detta di Santa Maria, è il principale luogo di culto di Torrice. Vicina al Municipio e al castello medievale, la chiesa parrocchiale si raggiunge da via Indipendenza e via Umberto I. La sua storia è secolare e densa di avvenimenti.
San Pietro o Santa Maria, la fusione di due chiese
Non a caso la piazza su cui sorge la chiesa di San Pietro si chiama Santa Maria. Alla Vergine, infatti, era intitolata la chiesa più antica, collocata dentro le mura di cinta del borgo ovvero nel posto su cui si trova attualmente. La denominazione di San Pietro è giunta successivamente derivata da una seconda chiesa che si trovava fuori dalle mura, molto probabilmente sul cosiddetto Colle San Pietro.
Nel 1629 il vescovo Lanteri della Diocesi di Veroli, a cui il territorio di Torrice apparteneva, decise che l’arciprete e i chierici di questa collegiata ufficiassero anche la chiesa di Santa Maria perché più facilmente raggiungibile dalla popolazione. Di questo sappiamo dalle visite pastorali dell’epoca.
Caduta in abbandono, nel 1681 tutti gli effetti della chiesa esterna intitolata al santo della Galilea, furono trasferiti nella chiesa di Santa Maria dentro le mura. Il parroco firmava i registri parrocchiali per entrambe le chiese.

Risorta da terremoti e bombardamenti
Quella che è la più importante chiesa di Torrice venne distrutta da un terremoto agli inizi del 1700 e fu oggetto di una lunga ricostruzione terminata nel 1732. I muratori lasciarono una scritta in cui è indicata la data e gli autori del lavoro: “Die Gennaro 1732 fabicavit dal fundamento ad ultimo – Petrus Antonius Pedetti, Giovan Battista Cora melanense de Ambrosio”.
E fu un altro terremoto, quello del 13 gennaio 1915, a procurare all’edificio di culto ulteriori danni tanto da far muovere una vera colletta pubblica a sostegno delle spese di restauro. Il Comune di Torrice, all’epoca ricadente in provincia di Roma, elargì un contributo di 3mila lire e anche il Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti contribuì con diversi sussidi. Nel carteggio, emerse che il sacro edificio apparteneva ad una collegiata in seguito soppressa. Anche il parroco si adoperò per recuperare denaro utile al ripristino della chiesa di San Pietro e nel 1918 chiese al Regio Economato Generale di Firenze di poter tagliare alcune piante, sparse nei fondi della Prebenda, sia per incamerare risorse sia per realizzare impalcature.
Ma non è stata l’unica consistente opera edilizia a cui venne sottoposta la chiesa di San Pietro. La seconda guerra mondiale, inferse un’altra ferita a questo storico edificio ecclesiastico.
Nel corso di bombardamenti aerei e a causa delle mine tedesche esplose sotto le case vicine, si legge nella relazione dell’ingegnere capo dell’ufficio di Frosinone del Corpo Reale del Genio Civile, struttura del Ministero dei Lavori Pubblici, sono andati distrutti gli infissi, gravemente danneggiati i tetti della casa parrocchiale e della chiesa la cui volta è stata forata in più punti. Lesioni anche all’altare maggiore e agli altari secondari.
Fu il parroco ad occuparsi dei primi interventi affinché le funzioni religiose potessero tornare a svolgersi e le intemperie non compromettessero la stabilità delle mura. Nel 1947 il Genio Civile affidò le opere ad un’impresa locale. Si parlerà di collaudo due anni più tardi.
Anche il campanile, essendo pericolante, venne prima demolito e poi ricostruito in due esemplari che ora si innalzano sulla facciata.

L’inebriante barocco settecentesco, affreschi e pregevoli dipinti
L’esterno della chiesa mostra una veste semplice. Sulla facciata si ergono i due campanili eretti nel dopoguerra, con finestre ad arco sui lati. Ma alla semplicità esteriore, che vede intersecarsi con linearità geometrica gli elementi del frontone e il cornicione, risponde all’interno una sontuosità stilistica tipica del barocco impreziosita da affreschi, tele e intarsi.
Benvenuti nel barocco settecentesco: ricchezza di colori e abbondanza decorativa sono la cifra dei suoi magnifici ambienti arredati da drappi, riccioli e fregi con un mantello d’oro a dare lucentezza.
E ancora marmi sul pavimento e nelle cappelle, disegni e armonie cromatiche sui muri e sulle finte colonne.
Grandiosi affreschi dai colori vividi riempiono la volta che sormonta l’unica navata della chiesa. Ritraggono l’agnello di Dio e il corpo di Cristo (sopra l’altare), Maria Regina dei Cieli madre di Dio con Gesù bambino e la colomba simbolo di pace e purezza. E ancora la cacciata di Lucifero dal Paradiso ad opera di San Michele Arcangelo, i due angeli simbolo che contrappongono il bene al male. Ritorna in più punti la presenza degli Angeli.
Dietro l’altare si staglia un lussuoso frontespizio come sorretto da quattro colonne, con una tela tonda, posta in alto, raffigurante l’assunzione della Madonna e collocabile nel 1700, e un dipinto molto più grande raffigurante San Pietro molto probabilmente realizzato negli ultimi anni del secolo successivo.
Le altre opere pittoree sono concentrate nelle cinque cappelle che delimitano l’unica navata.

Entrando sulla destra, si trovano, nell’ordine, la cappella dedicata a Sant’Antonio da Padova con una statua del santo amico dei fanciulli. Ai lati pitture murarie che ritraggono l’abate Antonio e una statua di San Sebastiano (anche se è scritto San Joseph).
La cappella dedicata all’Addolorata mostra invece un’ammirevole pittura ad olio che sarebbe stata realizzata nell’ultima decade del 1800. E’ la crocifissione di Cristo con altri personaggi come la Madonna, Santa Maria Maddalena e San Giovanni Evangelista. E’ sormontata dalla scritta in latino “O magnum pietatis opus” tradotto “Grande opera di misericordia”. Un quadro con lo stesso soggetto e molto somigliante, è stato catalogato nell’archivio Pallavicini a Gallicano nel Lazio e attribuito a Ferdinando Ludovisi (1700).
Ai suoi lati, il dipinto murario di San Francesco e il simulacro di San Rocco.
La cappella successiva, verso l’altare, è dedicata al Sacro Cuore. Lateralmente l’immagine di Sant’Aloisio Gonzaga, il bambino che visse insegnando la parola di Dio, definito un modello di gioventù come dice la scritta in latino. E beata Maria Fortunata Viti, potenza e carità di Dio. Originaria della vicina Veroli, visse oltre 70 anni nell’anonimato della sua cella svolgendo lavori umili.
Sulla sinistra, il fonte battesimale e la cappella dedicata a San Sebastiano Martire come indicato dalla scritta incisa sul pavimento in marmo nel 1915. Ma sulla parente si staglia un dipinto della Madonna con il bambino. Ai suoi lati Santa Caterina Vergine e Martire e la statua di San Bernardino da Siena.
La Madonna di Pompei è ritratta in un dipinto che riempie l’ultima cappella verso l’altare, assieme a Santa Teresa del Bambin Gesù e a Sant’Agnese con l’agnello simbolo del suo sacrificio.
Sormonta l’ingresso della sagrestia la statua di San Giuseppe con Bambin Gesù, accanto i ritratti di due donne di fede e generosità oltre la propria vita e di epoca contemporanea: Beata Chiara Luce Badano e Santa Gianna Beretta Molla.

Il maestoso organo e le mirabili opere in legno
Le pareti della chiesa sono costellate dalle tappe della via Crucis. Piccoli capolavori di intaglio ligneo che raccontano la passione di Gesù dalla condanna a morte alla sepoltura.
Hanno uno stile cinquecentesco, invece, le opere in legno più grandi. Il confessionale con i due leoni e i preziosi intagli a foglia, il pulpito con le lavorazioni in rilievo compreso lo stemma di Torrice con le tre torri.
Ma le opere più maestose sono il palco dell’orchestra e lo splendido organo che si trovano sopra l’ingresso della chiesa. Fini lavorazioni per il balcone da cui echeggiavano musiche solenni.
Lodatelo con timpani e canti e lodatelo con le corde e l’organo, sono gli insegnamenti per i fedeli estrapolati dal Salmo 150 della Bibbia e che si leggono ai lati del magnifico strumento musicale.
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